#ritrovato
Grotte scolpite nel tempo e cattedrali maestose nel mezzo di colline brulle, ma soprattutto cibo e vino: questi i ricordi più vividi del mio viaggio in Georgia dell’ormai lontana estate 2018.
Con mia grande sorpresa e curiosità, due anni dopo, nel bel mezzo della pandemia, quei sapori che più di ogni altra cosa mi erano rimasti impressi, bussano alla porta di casa: apre proprio a Bologna uno dei pochissimi ristoranti georgiani su tutto il territorio italiano: Pane Georgiano.
La tradizione del pane georgiano
Pane Georgiano è, infatti ed innanzitutto, un forno. Un panificio con un tone, quello che in Georgia ho visto sotto terra e in cui il pane si cuoce attaccandolo alle sue pareti. Quando ci siamo stati qualche sera fa, Shorena, la proprietaria di Pane Georgiano, ci ha mostrato fiera e contenta quella che sembrava una botte di mattoni. Si tratta, in realtà, del nuovo arrivato che sostituirà il tone precedente. Non siamo clienti abituali, ma Shorena ci fa subito sentire ben accolti, come fossimo a casa di un lontano parente che torniamo a trovare.
Un’atmosfera che vale come un antipasto, e che mi riporta tra le strade allagate di Batumi, la prima sera trascorsa in Georgia arrivando in bus da Trebisonda, quando mi sono ritrovata davanti ad una guesthouse chiusa per lutto. Superato lo shock culturale (quale affittacamere in Italia avrebbe chiuso senza preavviso?) e linguistico (pretendere di viaggiare in Georgia parlando solo l’inglese è un po’ un’utopia) ho ascoltato, senza capire una sola parola, il dibattito che ha coinvolto tutto il vicinato finché qualcuno non si è offerto di ospitarmi a casa sua, colazione inclusa.
Ecco, i georgiani sono così. Ti aprono la porta e hanno sempre un pezzo di puri (pane) per te.
Ritrovare gli stessi identici sapori
Da Pane Georgiano ho ritrovato i sapori della mia prima cena georgiana dopo le alluvioni della tragica notte a Batumi: kinkhali (ravioloni di carne o formaggio) e carne alla griglia con salsa di prugna. Tra quelli mangiati alle pendici dell’enorme Castello di Rabati ad Akhaltsikhe, impronunciabile cittadina di circa 18000 abitanti, a quelli mangiati da Pane Georgiano a Bologna nessuna differenza! Compresa, ahimè, l’appartenenza a quel gruppo di persone che pensano che il coriandolo sappia di sapone, sempre abbondante nei piatti di carne georgiani.
Tuttavia, come nella famosa scena di Ratatouille in cui il critico Antòn Ego assaggia la ratatouille di Remy e torna bambino, così, prima ancora di addentarli, la vista del piatto fumante di quelle che sembrano piccole borse dell’acqua calda o copricapo ottomani, mi ha riportata a 3200km di distanza.
E a proposito di acqua, sì, qui anche l’acqua conta. La domanda non è naturale o frizzante, ma quale? La Georgia è famosa per le sue fonti d’acqua minerale e mentre ero in viaggio lì ho bevuto quasi esclusivamente Borjomi, la più celebre che vanta di avere proprietà curative. Niente Borjomi questa volta, ma Shorena mi porta una bottiglia di Nabeglavi, dalla storia più recente, ma altrettanto di qualità.
Certo è che una volta scelta l’acqua è il momento di scegliere il vino, ma anche qui ho le idee chiare.
Riscoprire il vino Qvevri
Altrettanto indelebile fu un calice di vino qvevri dal colore ambrato in un pomeriggio di sole per le strade della città vecchia di Tbilisi, la capitale della Georgia.
Così ho scoperto che la Georgia vinifica da sempre e nella sua tradizione millenaria passata di generazione in generazione lo fa in grosse anfore chiamate, appunto, qvevri. Otri in terracotta a forma di limone in cui il vino riposa sottoterra, proprio come accade per il forno, che per me è il simbolo di quanto bere e mangiare in Georgia abbia radici profonde tutte da scoprire.
Da totale inesperta, non so quanto sia vero il fatto che questo tipo di conservazione permetta di aggiungere pochi o zero solfiti (che sono poi quelli che del vino ci fanno venire il mal di testa), ma me lo raccontarono in visita ad una cantina e ci voglio credere!
Ovviamente, anche da Pane Georgiano scegliamo un Saperavi (che è il nome dell’uva, come dire Primitivo o Negramaro) Qvevri del 2017, un rosso secco tipico della regione di Kakheti la regione più ad Est del paese, conosciuta proprio per i suoi vini. Appena aperto, odora di olive mature pronte per il frantoio e il sapore è rotondo e morbido. Man mano che si apre, come per tutti i rossi, il sapore si fa più persistente e ci sembra richiamare il pepe nero.
Riaddentare sua maestà: il khachapuri
Eppure ciò che davvero attendevo con ansia e trepidazione, il re dei miei sogni georgiani, è il khachapuri. L’iconica focaccia a forma di barchetta e ripiena di burro e formaggio imeruli con al centro un uovo. Questo occhio di bontà e scioglievolezza estrema si chiama acharuli khachapuri, e l’ho mangiato in tutti i luoghi in tutti i laghi, non mi sarei saziata d’altro. Riaddentarlo qui da Pane Georgiano a Bologna ci fa venire la stessa identica tentazione, eppure non è proprio quello che si trova in Georgia. Shorena ci spiega che importare il formaggio imeruli è impossibile e riprodurlo qui in Italia altrettanto: in tutta sincerità, ci dice di utilizzare il primo sale pugliese, il più simile all’imeruli georgiano se ulteriormente salato.
Oltre a ritrovare i sapori di quel viaggio, c’è anche una scoperta che non avevo avuto modo di fare. Da golosa cronica, non ho particolari ricordi di dolci georgiani se non le churchkhela, una specie di caramella a forma di candela a base di succo d’uva e ripiena di frutta secca di ogni tipo. Onestamente non la mia preferita, ma il menù di Pane georgiano a Bologna ha l’Ideale, di nome e di fatto: una torta semplicissima a base di miele e latte condensato che Simone ha consacrato come sua prossima torta di compleanno! Con un effetto un po’ khachapuri, anche di questa una fetta non bastava.
Non tutti i mali vengono per nuocere
Come raccontavo all’inizio di questo excursus, non tutto del mio viaggio in Georgia è stato piacevole. Appena tornata a casa ricordo di essere stata più stanca di prima e di aver sofferto della sindrome della viziata europea che pensa di avere larghissime vedute e poi si ferma al primo intoppo di comunicazione. A quattro anni di distanza, mai come in questa occasione mi è chiaro quanto il cibo sia, invece, lingua universale e di quanto permetta di fare pace anche con ciò che sembra andato storto.
Quel viaggio in Caucaso, oggi, ha il sapore dolce della nostalgia e della voglia di tornare in un posto che avrei voglia di riscoprire. Nel frattempo, posso sempre rinfrescarmi la memoria da Pane Georgiano, quando voglio, qui a casa, a Bologna!
Anche questo viaggio in Georgia con succursale bolognese è stato molto bello e invitante. Sicuramente un’altra cosa da aggiungere alla lista del 2022 (almeno andare da Pane Georgiano). Fantastica narratrice Eleonora 🤩⭐️❤️