#inaspettata
Se c’è una cosa che la Norvegia mi ha negato è l’uscire fuori a pranzo e a cena visti i prezzi proibitivi. Come mi diceva sempre un’amica spagnola, non avremmo mai potuto pensare di restare lì a vita senza la convivialità e senza la fiesta a cui noi latini siamo abituati…
Ebbene sì, quasi un decennio fa ero un’Erasmus squattrinata che dal profondo sud aveva colto l’occasione unica di vedere, anzi, vivere il profondo nord – quello vero, non Milano.
Arrivata ad Oslo, però, proprio perché non si trattava di un viaggio, era improbabile spendere tutto il budget per provare i piatti tipici del posto. Perciò, complice il ghiaccio in strada e i prezzi dei pomodori insapori come cartone, il mio menu settimanale consisteva in:
– un piatto tripartito di riso basmati, broccoli al vapore e salmone
alternato a
– pasta col pesto Barilla (che si reperiva abbastanza facilmente e per cui i miei colleghi coreani andavano matti!)
oppure
– pizze surgelate di dubbia consistenza e colore.
10 italiani ad Oslo: che ci mangiamo?
C’è anche da dire che oltre al brunost (un formaggio che sembra una caramella al mou perché realizzato dal siero del latte) e ai waffle soffici, ma sottili, c’era poco altro da assaggiare, se non la renna.
Individuati gli italiani, iniziammo a riunirci nelle cucine degli studentati, ma in assenza di materie prime (o di renne da stufare) le nostre non furono grandi reunion culinarie. Passarono sei lunghi mesi, in cui il massimo dell’uscita oltre alla discoteca fu il ristorante dell’Ikea, però quanto abbiamo amato quelle polpette!
Finché, a Giugno inoltrato, appena prima di fare i bagagli, quasi tutti i nostri genitori vennero a trovarci per riportarci indietro. Una volta arrivati ci concessero anche delle trasferte fuori Oslo, nei posti che non eravamo riusciti a raggiungere con “trombonavi” (sorvoliamo sulla definizione!) o treni super scontati agli studenti, ma soprattutto: ci sfamarono.
Direzione Bergen, obiettivo: la zuppa di renna
Io e i miei scegliemmo Bergen, la città più piovosa d’Europa, ma per fortuna trovammo delle meravigliose giornate di sole. E tra quelle casupole rosse e gialle coi tetti spioventi, incastonate nei fiordi e affacciate sul famoso mercato del pesce (dove un buona fetta di italiani sembra lavorare durante l’estate!) andammo a mangiare la famosa zuppa di renna.
Sei mesi senza mangiare una pasta al dente o una pizza degna di essere chiamata tale mi avevano lasciato poca voglia di sperimentare. Inoltre, ero più che mai scettica su questo piatto a base di selvaggina che da sempre detestavo a pari merito con le interiora, di qualunque animale fossero.
Ma un po’ come la zuppa di balena – cosa per cui qualche Erasmus più ricco e coraggioso aveva organizzato spedizioni notturne a rischio arresto nell’unico posto che la preparava ad Oslo – non potevo esimermi.
Chi era già stato a Bergen ci aveva consigliato un posticino lungo il porto, per giunta con un nome italiano: Zupperia!
Ci accomodammo attorno ad un tavolone di legno, con un paio di candele a fare ulteriore atmosfera tanto che sembrava di essere in uno chalet di montagna, ma vista mare. Il meteo, per quanto clemente, regalava un’aria frizzante, così la prima cucchiaiata fu come un abbraccio che sciolse tutte le mie remore.
Cremosa, densa, calda al punto giusto, penetrante. Il sapore fu intenso, ma non pungente come potevo aspettarmi. La texture della carne cotta per chissà quante ore si scioglieva in bocca e si intrecciava alla viscosità dei funghi.
La mia attesa fu ripagata proprio grazie alla zuppa di renna e fu Norvegia, quella vera, lontana dagli scaffali dei discount e della famosa catena svedese – che di cartone ci bastavano i mobili!