#tuonanti
Può un dolce che non avevo mai assaggiato – e appartenente ad una tradizione regionale diversa dalla mia – riportarmi ai ricordi di infanzia più reconditi legati al Natale? È stato questo il potere delle cartellate che ho mangiato qualche settimana fa da Fratelli Marzano partendo per un vero e proprio viaggio nel tempo.
Natale a Crotone: crustuli, susumelle e pitte ‘mpigliate
Le mie vacanze di Natale di bambino arrivavano sempre dopo un altro lunghissimo viaggio, sempre verso la stessa destinazione: la Calabria, Crotone. Di solito trascorrevo il Natale coi nonni materni e il Capodanno coi nonni paterni, ma per tutte le festività, ogni giorno uno zio o una zia organizzava un pranzo o una cena a casa sua. La mia famiglia è così grande che riuscivamo davvero ad impegnare ogni momento di quelle due settimane!
Il 24 dicembre si mangiava poco a pranzo per sfondarsi a cena. Aspettando la mezzanotte, mentre si giocava a carte, un dolce di Natale tirava l’altro: crustuli, susumelle e pitte.
I più nazionalpopolari pandoro e panettone della grande distribuzione restavano lì, in attesa di essere aperti, ma prontamente accantonati rispetto ai dolci di Natale fatti in casa di cui sopra. Io sono sempre stato team pandoro finché, solo di recente, ho capito che i panettoni artigianali sono di un altro pianeta. La vecchiaia mi ha dato questa consapevolezza e il lockdown dello scorso anno mi ha pure dato il coraggio di provare a farne un paio da me, con discreti risultati!
Veniamo quindi ai dolci di Natale tipici calabresi che citavo poco prima:
ci sono i crustuli: esteticamente bruttini, ma insostituibili. Hanno la forma degli gnocchi di patate, ma dal colore ambrato intenso e dal sapore altrettanto forte. Duri e croccanti, finché non si lasciano ammorbidire dal miele caldo, meglio se millefiori. L’impasto della ricetta della mia famiglia è ricchissimo: farina di grano duro, tanto olio extravergine d’oliva, rum bianco, anice, vino rosso, cannella e chiodi di garofano. La parte liquida va scaldata prima di incorporarla alla fontana di farina, perciò attenti a non ubriacarvi per le esalazioni!
Dopo averli fritti in olio di semi, la glassatura è fondamentale: una volta confezionati e raffreddati si dovrebbe essere in grado di staccarli uno ad uno con le dita e non sollevare un pezzo unico da razionare con la motosega. Zia Nina, la sorella di zia Maria, quella delle trofie al pesto, era la regina assoluta dei crustuli, che non si comprano, ma si fanno e si ricevono, avviando una sana competizione per scegliere i migliori dell’annata.
Seguono le susumelle, che sono le mie preferite in assoluto. Si tratta di biscottoni di forma tonda e appiattita, morbidi all’interno, ricoperti di cioccolato fondente all’esterno. Nel resto d’Italia li chiamereste mostaccioli e sarebbero romboidali. Qui il miele è dentro l’impasto insieme ad uvetta, frutta secca e frutta candita. In questa versione, il sapore è paragonabile anche al pan di zenzero o al panpepato. Ultimamente ho assaggiato quelle con copertura al cioccolato bianco, alla nocciola o copertura al pistacchio della pasticceria Caffè Italia di Crotone: per quanto ottime, non le sostituirei mai alle classiche!
Ultime, le pitte, da non confondere con l’omonimo pane calabrese a forma di ciambella. Mi riferisco alla cosiddetta “pitta ‘mpigliata” o “pitta ‘nchiusa“, un groviglio che somiglia proprio alle cartellate pugliesi. Sta qui il principio nel mio viaggio della memoria: i dolci della mia tradizione sono tornati a galla dopo avere assaggiato le cartellate e aver perfino imparato a prepararle in compagnia dei Fratelli Marzano, nel loro ristorante di Castel Maggiore, con l’aiuto prezioso di Mamma Barbara.
Se le cartellate pugliesi sono roselline create da sei piccole “sacche” poi attorcigliate come una ruota, la pitta ‘mpigliata calabrese è un enorme disco che le unisce tutte. Infatti ha la grandezza di una torta, e, a differenza delle cartellate, il cui impasto è semplicemente composto di acqua, farina e un pizzico di sale, l’impasto della pitta ‘mpigliata è ricco quanto quello dei crustuli.
A differenza delle cartellate, poi, la pitta ‘mpigliata non si imbeve nel mosto cotto o, come nel caso della versione dei Fratelli Marzano, nello sciroppo di fichi (un nettare realizzato coi fichi del loro giardino di Gioia del colle, che ve lo dico a fare!). Nella pitta è il ripieno di uvetta e spezie mescolate col miele a sormontarla, ammorbidirla e insaporirla.
È così che i ricordi di oggi e quelli di ieri si sono mescolati in un unico morso, e altre tradizioni hanno bussato alla mia porta. Le ho lasciate entrare, contaminarmi. E non c’è gara, non ci sono vincitori, se non il bello della condivisione, delle stesse differenze che ci contraddistinguono, anche se a dividerci è una manciata di chilometri. È cariarsi i denti e tornare bambini senza pensare alla dieta, anche solo per un giorno. È masticare con gusto, partire per un’altra dimensione e dire: “tuona!” come fa Gianni, uno dei Fratelli Marzano, quando qualcosa “spacca”, gli piace particolarmente.
Meraviglioso articolo e come al solito applauso finale dei nonni paterni e della zia emozionati per la valanga di bellissimi ricordi 🤩❤️ Grazie Xsimo86 @aftertasteblog ❤️