#perfezionato
Vi ricordate di quando vi ho raccontato del mio primo sorso di caffè? Scoprii il sapore di questi chicchi magici con la Brasilena, la più tipica delle bevande calabresi, e fu come una sorta di battesimo verso l’età adulta.
L’espresso in 3 sorsi: la versione di Maurone
Ve lo sarete sentito dire tutti almeno una volta da bambini: “no, a te no, il caffè è per i grandi!” – magari aggiungendo che eravate già abbastanza attivi e non avevate bisogno anche della caffeina! Perciò, essere inclusi nel giro caffè dei grandi pranzi conviviali con tutta la famiglia fu un vero e proprio riconoscimento: “adesso puoi”.
E come per tutti gli inizi, si è inesperti e puoi solo imitare chi ti sta intorno. Perciò, ovviamente, il mio primo vero caffè è stato della moka, che nella versione di zia Fina aveva un sapore agrumato perché aggiungeva una scorza di limone dentro il filtro, insieme alla polvere. In ogni caso, si trattava di un caffè zuccherato perché nessuno lo prendeva amaro. Finché nella mia vita non è arrivato Maurone!
Che no, non è un brand di miscele, ma un mio ex allievo di quando ero un ballerino di professione. Maurone è “-one” perché è grande e grosso e, per giunta, io ero molto più giovane di lui pur essendo il suo maestro. Durante una gara in Sardegna mi offre un caffè e mi implora di provare a berlo amaro.
Secondo Maurone, un buon espresso va bevuto in 3 sorsi. Il primo serve ad assaporarlo appena, il secondo va spinto sotto la lingua per poi riempire tutta la bocca e sentire rotondità e completezza nel gusto, il terzo è quello necessario a finirlo, perché il quarto non serve, dai.
Il caffè all’estero: nè meglio, né peggio, ma diverso
Gliene davo atto: se il caffè è buono può essere bevuto amaro. Di conseguenza, ho capito che fino ad allora avevo bevuto caffè pessimi e potete accorgervene facilmente perché sono frutto di baristi inesperti che non sanno macinarlo, o non sanno pressare la polvere o non puliscono la macchina a dovere. Su quello casalingo non avevo da ridire perché, per fortuna, nessuno a casa mia seguiva la credenza popolare per cui la moka non va mai lavata e il caffè deve essere lasciato dentro (che Dio li perdoni!).
Poi, appena fuori dai confini italiani, mi sono accorto che non esisteva solo l’espresso e che il caffè a casa poteva essere preparato anche senza una moka. Inoltre, mi sono accorto di quanto il modo stesso di consumare il caffè sia legato alla cultura del posto: in Inghilterra il caffè non è necessariamente ciò che bevi a colazione e non è qualcosa che tracanni di fretta per darti la carica.
Contemporaneamente, provare a bere un espresso all’estero è un’altra cosa rispetto a quello italiano: non voglio dire che sia per forza meglio o peggio, ma è sicuramente un’altra cosa. E nella maggior parte dei casi questa “cosa” non è corta, ma lunga. Questo caffè ha bisogno di più tempo e, per ovviare all’endemica assenza di tempo dei nostri giorni, gli inglesi lo allungano ulteriormente con latte o panna condensata in piccole capsule di plastica che si trovano un po’ ovunque, insieme alle bustine di zucchero.
La conversione al caffè americano
A quel punto mi sono convertito al caffè americano, che, per un periodo di cui non vado molto fiero, ho preparato con il caffè solubile. Questo fino a quando qualcuno non mi ha regalato una macchina per preparare il caffè in capsula. Resta il mio modo attuale di bere il caffè nonché il mio preferito: mi permette di avere una vasta gamma di opzioni che scelgo in base all’intensità. Grazie alle capsule non solo le mie tazzine sono schiumose come quelle del bar, ma ho praticato molte degustazioni seguendo il metodo di Maurone! Ho capito che preferisco i caffè ad alta intensità e le miscele con prevalenza di Arabica, che al mio palato risulta essere meno amara. Inoltre riciclo le capsule in alluminio, o almeno mi fido di chi dice di farlo per me quando le consegno in un sacchetto compostabile in negozio.
Non per questo sono tornato al solo espresso, anzi! Dopo un momento in cui ho allungato con acqua calda l’espresso in capsula (con risultati discutibili) ho scoperto il chemex.
Il chemex è una sorta di brocca in vetro con una base abbastanza larga il cui collo si stringe, circondato da un anello di legno e un cordino in pelle, per poi riallargarsi nella parte superiore. Lo potete facilmente acquistare online, insieme ai filtri di carta a forma di cono della giusta dimensione, fatti apposta per il chemex.
Come preparare il caffè con il chemex
Innanzitutto, considerate una proporzione di 60 grammi di caffè per 1 litro d’acqua.
Io ho un chemex con una capienza di 400ml quindi macino 24 grammi di caffè circa. Vi consiglio di macinare il caffè a casa perché usare quello della moka, per esempio, sarebbe troppo fine. Lasciatelo grossolano, ma senza esagerare!
Nel frattempo, fate bollire l’acqua necessaria riservandone qualche goccia calda per bagnare leggermente il filtro già posizionato nel chemex. Buttate via la poca acqua depositata alla base, mettete la polvere di caffè già pesato nel filtro umido e posizionate il chemex su una bilancia per pesare l’acqua che andrete a versare nelle prossime due fasi.
La prima è quella di “blooming“, un principio di idratazione in cui andrete a versare uniformemente 1/4 dell’acqua sulla polvere, come a formare dei cerchi concentrici. La lasciate “agire” per almeno 45 secondi in cui vedrete formarsi una meravigliosa schiuma.
Dopo di che, sempre con cautela, andate ad aggiungere la restante parte d’acqua, mescolando delicatamente con un cucchiaino il caffè all’interno dell’imbuto e lasciate estrarre il nostro americano per almeno 3 minuti. Trascorso questo tempo, rimuovete il filtro, versate il caffè in un cosiddetto mug – ancor meglio se trasparente, perché ammirare il suo colore caramellato farà parte dell’esperienza! – e godetevelo sorso dopo sorso, senza fretta.
Niente male, vero? Per guardare una dimostrazione pratica, a questo link c’è un video dedicato al chemex di James Hoffman, uno dei più grandi intenditori di caffè su YouTube.