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A pranzo da Ottolenghi Spitalfields, a Londra

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Vi sarà ormai chiaro che viaggiamo per mangiare, no?

Se molti dei nostri spostamenti sono in funzione di un certo ristorante di cui fare esperienza, altri partono con intenti diversi, ma diventano il pretesto per spuntare una casella nella lunga lista dei nostri desideri culinari.

Proprio quello che è successo qualche giorno fa, da Ottolenghi a Londra, mentre la Regina Elisabetta esalava l’ultimo respiro!

Retroscena del nostro UK calling

L’Inghilterra era nei nostri piani ancor prima di conoscerci, o quasi: Simone ci ha vissuto in una vita precedente – che vi abbiamo già detto essere stata quella di un ballerino professionista di danza latinoamericana? – e da profondo conoscitore del luogo si era appassionato anche ai miti che la popolano. Simone ha due altre grandi passioni oltre al ballo e alla cucina: la magia e il mentalismo. Nel Regno Unito questo fa rima con un solo nome: Derren Brown.

A pochi mesi dal nostro primo incontro, nel 2019, Natale è alle porte e decido di stupirlo per sempre: gli avrei regalato i biglietti per andare a vedere insieme uno spettacolo del più celebre mentalista al mondo. Poi, è arrivata la pandemia!

Noi siamo ancora qui, Derren Brown pure – per fortuna! – ma complici nuovi incastri e qualche passaporto scaduto, la nostra data si è spostata da Edimburgo – accompagnata dal sogno di un inevitabile giro di distillerie – a Birmingham, patria dei Peaky Blinders, con atterraggio su Londra.

E se 10 anni prima Londra per me era acquisti folli a Camden town e bagel al salmone a Brick Lane, 10 anni dopo Londra fa rima con un altro nome: quello del sommo, Yotam Ottolenghi.

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Simone davanti all’entrata del tempio e io riflessa nella vetrina

Mutuo Soccorso Ottolenghi

Ignoro quanto lo chef di origini israeliane, emigrato a Londra negli anni 2000, sia effettivamente noto in Inghilterra come in Europa o nel resto del mondo, ma so che ha vinto un mucchio di premi, che ha un cv mozzafiato e che per la mia stretta nicchia di conoscenti e appassionati della cucina mediorientale quest’uomo è un fenomeno.

L’ho “incontrato” per la prima volta grazie al mio amico Mario, spulciando tra i suoi numerosi libri di cucina come sempre accade quando vado nell’appartamento che condivide con Dom, il suo compagno, inglese, per l’appunto. Sono stati loro a regalarmi Jerusalem per i miei 30 anni e da lì quella per la cucina di Ottolenghi è diventata una passione consolidata. Ho iniziato a notare che non ero l’unica a conoscerlo mentre su Instagram la giornalista Sara Porro e Myriam Sabolla aka The food sister organizzavano le “dirette Kitchenette” per riprodurre proprio alcuni piatti di chef Ottolenghi, sebbene molti degli ingredienti richiesti per le sue ricette siano pressoché introvabili.

Chi non si è lasciato scoraggiare dalla lista chilometrica di spezie e simili, necessarie alla riuscita dei suoi piatti principalmente vegetariani, è diventato un vero e proprio seguace e si è iscritto al gruppo Telegram di Mutuo Soccorso Ottolenghi per confrontarsi con gli altri adepti.

Manco a dirlo, io sono tra quelle!

(Se volete essere aggiunti al gruppo avete bisogno di un invito. Scriveteci su Instagram e saremo contenti di farlo!)

Ottolenghi Spitalfields
La sala principale di Ottolenghi Spitalfields

L’esperienza a Spitalfields

Ma veniamo alla ciccia dopo due paragrafi di preamboli alla faccia della SEO.

Tra i 7 ristoranti di Ottolenghi a Londra, abbiamo scelto quello di Spitalfields onestamente un po’ per caso. Sapevamo che, a differenza di altre sedi, qui c’è il servizio al tavolo e non solo il take away. Vogliamo il pacchetto completo, e scegliamo di sederci al tavolo, ma avremmo anche potuto stare al bancone, forse con una scelta più limitata di piatti, e certamente meno spazio dove mettere le ben 6 pietanze che stanno per arrivare.

Prenotiamo online, ma il pagamento è in sede. Non viene richiesta la carta di credito, sebbene si specifichi una trattenuta di 20 sterline nel caso non ci presentassimo. Così non è, perché abbiamo tardato di 30 minuti in preda al panico e, una volta arrivati sulla soglia della porta a vetri, è giunta una cancellazione della prenotazione senza ripercussioni. Ho pregato in tutte le lingue del mondo di farmi comunque sedere, ma in realtà non è servito: il nostro posto non era stato ceduto, thank God!

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La mia gioia nell’affondare forchetta e coltello in questi piatti

Cosa abbiamo mangiato?

Ok, accomodiamoci e capiamo come funziona: possiamo scegliere tra 4 piatti del giorno e 2 insalate tra una selezione di ben 7. Chiamarle “insalate” è un po’ un insulto: trattasi di contorni freddi, disposti all’ingresso in un sontuoso buffet a una manciata di sguardi dalla vetrina dei dolci a cui torneremo tra qualche riga.

Scegliere è dura. Partiamo col bere, vada per un cocktail analcolico a base di agrumi e zenzero e chiediamo tempo a camerieri e cameriere. Nello staff non c’è un singolo inglese, mentre attorno a noi è un gran vociare di incontri più o meno incravattati in pausa pranzo dalla non lontana City. Optiamo per due piatti “base”:
1) cavolo abbrustolito in crema di tofu, noci sottaceto, e pico de gallo*
2) filetto di orata in labneh* al burro bruciato e pomodoro grigliato

*cos’è il pico de gallo? = una salsa cruda a base di pomodorini, cipolla e peperoni verdi tagliati finemente, tipica del Messico
*cos’è la labneh? = oserei dire una sorta di Philadephia, ma più corposa e grassa. In ogni caso, una crema a base di formaggio, diffusa in tutto il Medioriente.

(Ma soprattutto: la crema di tofu??? Una bomba. Da rifare subito, spero mi riesca!)

E le 4 “insalate”?
1) melanzane arrosto, limoni in conserva, yogurt e peperoncino
2) un’insalata greca di pomodori, feta e olive con aggiunta di capperi – un plus di cui non faremo mai più a meno a casa!
3) fagioli di Spagna con piselli, menta, feta, pistacchi e yogurt
4) muhammara = una crema di peperoni bruciati e noci tipica della cucina siriana

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Zoom obbligato sulla bontà di questa muhammara e la bellezza di queste melanzane

Il verdetto sulla cucina di Ottolenghi

Simone, che non sapeva bene a cosa andava incontro – se non che ogni tanto torna a casa e si sente dire “ti ho fatto una ricetta di Ottolenghi” – ha esordito con un’affermazione da quattrenne tenero: “sto mangiando le verdure senza rendermene conto”.

Io che sapevo a cosa andavo incontro, mi sono seduta con una sola domanda cruciale: quello che cerco di riprodurre a casa seguendo la ricetta neanche troppo passo per passo, ma rispettando, sicuramente, l’estro che Yotam Ottolenghi ha nel mescolare spezie e consistenze, si avvicina lontanamente a quello che sto per mangiare qui?

E la risposta è sì.

Non perché voglia paragonarmi a sua maestà, ma perché la cucina di Ottolenghi, in fondo, è semplicissima ed è l’apoteosi della mediterraneità. Sono sapori che ho già conosciuto nei posti che ho visitato, in cui ho vissuto e che ho adorato, ai cui piatti guardo con estrema nostalgia. E in Ottolenghi c’è tutto questo oltre ogni confine: la Grecia che incontra la Siria e il cornbread anglosassone servito accanto alla focaccia con le cipolle nel momento in cui abbiamo chiesto “del pane”. Nulla è lasciato al caso, ma tutto è commistione dei luoghi che attraversa.

sweet ottolenghi spitalfields
La.vetrina.dei.dolci.

E il dolce?

Un altro fattore sorprendente – o forse no – è stata la sazietà. Alla fine del pasto eravamo strapieni, sebbene le porzioni non fossero esagerate e non avremmo introitato alcun tipo di carboidrato se non avessimo ordinato pane e focaccia a parte, da veri ingordi.

I dolci, quindi, li abbiamo mangiati più con gli occhi che col palato. Una montagna di meringhe variegate di rosa, le stesse che si trovano sulla copertina di Sweet, il suo libro dedicato ai dessert, e molte altre prelibatezze che farebbero ingolosire anche chi dice di non esserlo.

Abbiamo optato per un tortino senza farina all’arancia con ganache di cioccolato fondente. Sbagliare era praticamente certo, perché l’unica soluzione per provare quello più buono era prenderli tutti.

Il conto non è altrettanto dolce, ma vale l’esperienza. Non è un pranzo qualunque in un posto qualunque, è una visita al tempio. Un tempio che, nel nostro piccolo, possiamo tornare a ricreare anche in quel di Bologna… anche se, maledetto bagaglio a mano, non ho potuto accaparrarmi un barattolo di preserved lemons esposti in bella vista alla cassa!

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Eleonora Masi
Eleonora Masi

Social Media Manager, #poliedrica

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Un commento

  1. I vostri viaggi sono sempre più intensi, colorati (nonostante il grigio di Londra e la povera Queen), profumati e gustosi, ed è un piacere leggerti Eleonora ❤️🤩

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