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Quest’anno per il mio compleanno avevo un solo desiderio, senza candeline da spegnere sulla torta: mettere piedi in Sardegna prima dei 33 anni. Un volo low cost per Cagliari, perfetta da visitare in 48 ore: e via, si prenota! Fatti i biglietti, la domanda che ci facciamo io e Simone è sempre la stessa, ancor prima di chiedersi dove dormiremo per una sola notte: dove mangiamo? Sapevamo a chi rivolgerci per ottenere i migliori consigli possibili: Jessica Cani di Sardegna Quanto Basta.
In men che non si dica ci ha mandato una precisissima lista suddivisa in categorie: tra il fine dining, a cui sapevamo avremo dedicato il sabato sera per festeggiare in anticipo il mio compleanno, spicca Old Friend. Ci incuriosisce prima di tutto per il suo nome, ma una volta approdati sul sito è stato altro a conquistarci: il manifesto di Anarchia Gastronomica.
Old Friend: Anarchia gastronomica
L’Old Friend di Cagliari si chiama Old Friend come una canzone dei Rancid, una delle band preferite dei fondatori di questo progetto, lo chef Dario Torabi e Luigi Serra. “La scelta non è casuale“, prosegue la descrizione in homepage, “perché la sensazione che si vuole dare a chi si siede ai tavoli dell’Old Friend è quella di stare a casa di un vecchio amico“: il che è esattamente quello che non accade quando si va a cena in un ristorante di un certo livello. Già questo è un bel segno di anarchia, ma lo chef Dario Torabi, pur essendo cagliaritano d’origine, è cittadino del mondo, e questa è una particolarità che accomuna tanti dei ristoranti di cui scegliamo di parlarvi qui, di cui uno ha appena guadagnato la sua prima stella Michelin.
Cucinare tipico spaccando l’ortodossia della provenienza con commistioni che raccontino qualcosa di sé e del posto che si abita e/o si visita: sta qui la vera anarchia.
Inizia la “Furia Cieca”
Quello che segue è il menù autunno-inverno 2023 che ha lasciato spazio a quello primavera-estate proprio 2 giorni dopo la nostra cena, il che, se vogliamo, l’ha resa ancora più speciale!
Abbiamo scelto il menù degustazione “Furia Cieca”, e dal nome potete immaginare che è perché comprende tutte o quasi le portate a disposizione: ben 6, a scelta dello chef. Adocchiamo un buon vino locale, ma altrettanto alternativo, un Cannonau bianco che in realtà è un Orange, il Karamare di Azienda Agricola Pusole.
Ancor prima che inizino le portate, ci torna in mente una parola spagnola che abbiamo imparato proprio mangiando durante il nostro viaggio a Barcellona dello scorso anno: trampantojo. Un trampantojo è un’illusione, un oggetto, in questo caso un piatto, che ha le fattezze di qualcosa, ma in realtà è qualcos’altro. La sua percezione visiva modifica anche il percepito degli altri sensi, specie del gusto: ed ecco che il burro montato con il miso servito nella perfetta forma di un’arachide ancora da sgusciare, beh, in bocca quasi richiama il burro d’arachidi anche se non lo è, anche se ha la stessa dose di umami. Arriva con un altro “trucco”, ‘Come se fosse un cinnamon roll’, una sorta di pane tostato dalla consistenza scioglievole, e un involtino di pelle di pomodoro ripieno di ricotta affumicata che in bocca è letteralmente un’esplosione di sapore: a Simone ricorda il ketchup, a me il sugo di mia mamma in cui non manca mai un fondo abbondante di soffritto di cipolla. Non mancano anche le chips di riso con pimenton e polvere di cavolo nero: anche queste, all’occhio, sembrano delle classiche tortilla, ma in bocca sono delle nuvole croccanti.
I primi 3 piatti
Insomma, ci stiamo già divertendo, e guidati dai consigli e dalle spiegazioni del personale di sala siamo sicuramente a nostro agio. Arriva così il primo piatto sulla scia degli “inganni” precedenti: sembra carne, forse sa di carne, ma non lo è. Un piatto che svolterà la nostra cottura del cavolo cappuccio a casa: in forno, intero, diviso in quarti solo dopo la cottura per piastrarlo. All’Old Friend di Cagliari ce lo servono con salsa di miso e latte di soia, sormontato di quinoa, affogato in una demi glace di verdure di stagione e funghi: cervello e papille continuano a lanciare un solo segnale: “stai mangiando l’arrosto della domenica”.
Segue in effetti un arrosto, ma è porro adagiato su una crema di casitzolu (un formaggio di latte vaccino tipico sardo, simile a una scamorza) e un velo di polvere di liquirizia. Eccola la Sardegna in tutta la sua anarchia, tanto che ci riporta sempre a Barcellona, al piatto che più ci aveva conquistato da Slow&low, tanto da correre al mercato il giorno prima della partenza per procacciarci il formaggio in questione.
Arriva poi davvero la carne, ma servita in un rivisitatissimo mari e monti, all’interno di un granchione, quindi “nascosta” nel pesce in forma di tartare, accompagnata da un’insalata di rucola ed erbe. In assoluto il piatto più goloso della nostra cena all’Old Friend a Cagliari.
I secondi 3 piatti
Piatto numero 4 arriva una pasta che conosciamo bene grazie a Luciano Monosilio, lo spaghetto Monograno Felicetti. Qui servito con burro, limone e bocconi, che a Taranto chiamerei “cuecciuli”, ovvero dei minuscoli saporitissimi murici. Conosciamo la qualità di Monograno Felicetti, ma qui come a Roma approfondiamo il tema con chi ci serve e scopriamo una curiosità mozzafiato sulla cottura di questo primo: non hanno mai visto il calore della fiamma. O meglio, sono stati tenuti per 45 minuti in acqua fredda e poi solo emulsionati con il condimento!
Alla portata numero 5 scopriamo la Sardegna in tutta la sua veracità: non possiamo lasciare la regione senza mangiare delle interiora. Non c’è cosa che non mangi, ma non vado pazza per cuori, fegatini, cervelli, trippe. Eppure, ancora una volta, è qui che riconosco il valore di un buon posto in cui vado a mangiare: mi convincono ad assaggiare cose che mai metterei in bocca. E da Old Friend a Cagliari quando la trippa di vitello arriva insieme a seppie e cavoli, sia stufati che crudi che fritti, quindi in consistenze diversissime, beh, quasi non sai più riconoscerla.
Sul finale una dolente nota, forse dovuta alla sazietà ormai raggiunta: lo sgombro affumicato con ricotta mustia (tipica di Orgosolo, di pecora, leggermente affumicata), spinacino e fagioli borlotti non ci ha fatto impazzire.
Prima di andare via, però, siamo stati fautori di altri due atti anarchici: mangiare un gel di mandarino che includeva del topinambur fritto e restare fino a chiusura, quasi a farci cacciare, ignorando le regole che un buon cliente al ristorante dovrebbe rispettare.
D’altronde, però, eravamo a casa di vecchi amici…
La Sardegna fuori dagli schemi e completamente rivisitata. Che piatti strepitosi!!! Sei la guida gastronomica più convincente del web 🤩⭐️🔝❤️