#locale
Cosa spinge un giovanissimo chef che ha lavorato nei ristoranti stellati di tutto il mondo a tornare in Italia, ma non nella sua città Natale, e aprire un ristorante che si ispira e aspira all’esperienza del fine dining a Osteria Grande, un minuscolo paesino tra Bologna e Imola?
Questa è certamente la domanda che avremmo voluto porre a Davide Maron, lo chef di DALP ristorante – (e può risponderci adesso se sta leggendo questo racconto nella nostra esperienza “a casa sua”, come può rivelarci cosa significhi l’acronimo DALP, se è un acronimo!)
La location, il servizio, il vino
L’open space, ma soprattutto la cucina a vista, ci ha tanto ricordato la nostra esperienza da Slow&Low a Barcellona, e la caratteristica che abbiamo trovato più interessante e peculiare è quanto tutto fosse a chilometro 0, ma zero davvero, perché l’insalata che ci è stata servita come base dell’antipasto cresce nella serra idroponica proprio dietro il nostro tavolo, tra un barattolo di fermentati e l’altro. Da Dalp ristorante, quindi, quello che finisce nel piatto lo vedi al suo stato primordiale, e ad oggi, specie per chi viive in città, non è una cosa da poco.
Il servizio tratta ogni cliente come fosse un ospite speciale, ma ciò che ha fatto davvero la differenza nella nostra esperienza col menù degustazione pesce che abbiamo scelto preferendolo alla carne, è la selezione dei vini di accompagnamento della sommelier Valentina. Di un’eleganza e di una professionalità eccezionale, ci ha conquistati dal primo bicchiere di Prosecco di benvenuto, anche questo locale (in tutta la serata un solo vino non proveniva dall’Emilia Romagna).
Un primo sorprendente
Un’ulteriore sorpresa è arrivata con il primo: linguine fresche con le cozze, queste provenienti dalla Liguria, cotte nella loro acqua, con una salsa di prezzemolo che gli dà sapore, ma senza il rischio di antiestetiche foglioline verdi anni ’80 tra i denti.
Lì per lì, quale affronto per Simone che non mangia mai la pasta con i frutti di mare al ristorante perché l’unica inimitabile è quella di sua nonna Lina? E per Eleonora che è di Taranto…ne ha mangiate di paste con le cozze in vita sua!
Beh, lo scetticismo iniziale per entrambi ha lasciato spazio a un “che buona” e alla scarpetta con il pane di lievito madre di Madré – forno ancora una volta della zona gestito da un giovanissimo mastro-panificatore, accompagnato da un burro montato che avremmo spalmato letteralmente ovunque. Si abbina un Pignoletto rifermentato dal colore torbido e dorato di una birra e dal sapore che ha esaltato in maniera indescrivibile la sapidità del piatto.
La trota del Trentino e il bis di dolci
Il secondo ci è stato servito direttamente dallo chef: ci è sembrato un uomo di poche parole che esprime tutto se stesso attraverso i suoi piatti. Nella cucina di Davide Maron nessuno indossa una divisa, dettaglio che ci ha fatto intendere che tutti sono uguali, che c’è un leader, ma non un capo al comando.
Nel piatto che sembra un cratere, una rosea trota del Trentino cresciuta in un fiume che è stato deviato proprio per allevarle nell’acqua del suo flusso naturale. Adagiata su un letto di finocchi e patate viola del territorio, condito con la salsa di pesce realizzata dai suoi scarti. Non si butta via niente, ed è tutto delizioso, come il Sauvignon Bianco Bologna che accompagna questa ultima boccata, quello che alla vista sembra un passito, ma in bocca è delicatissimo.
In realtà ultima, ma non ultima, perché ci aspetta il dolce. Ci buttiamo sul gelato alla panna con cioccolato fondente all’acqua e crumble, ma caschiamo ancora meglio con la tarte di mela, chantilly, gel e polvere di mela. Mela all’ennesima potenza.
Il secondo dolce, che è un’eccezione al menù concordato, non lo ritroviamo sul conto, e anche questo è un gesto non scontato.
Andiamo via contenti e certi che potremmo consigliarvelo come il posto giusto per una romantica coccola a due, che sia o meno un’occasione importante. Nel nostro caso è stato un canonico mercoledì in cui volevamo concederci un momento tutto per noi.