#internazionali
Cosa sono le uova “a meletta”?
Sarebbe una omelette, ma questa parola francese per mia nonna Enza doveva essere tradotta nel suo linguaggio privato.
Se fosse ancora in vita, proporrei una sfida: uova a meletta della nonna Enza vs omelette di Jacques Pepìn (famoso chef francese). E mi dispiace Jacques, non puoi vincere.
Il motivo è semplice, perché questo piatto non è replicabile. Non è una questione di tecnica, è una questione di ingredienti sentimentali e variabili.
La ricetta? Non ci sono dei veri e propri passaggi da seguire.
Prendi le uova, aggiungi sale a caso, un pugno di caciocavallo grattugiato e sbatti il tutto senza fare troppa fatica – Enza non voleva fare fatica. Metti una padella molto vecchia e graffiata sul fuoco a fiamma alta, olio “a sentimento” (quantità a caso), butti tutto dentro senza aspettare che l’olio diventi caldo – Enza non voleva aspettare. A un certo punto – che non era mai lo stesso – la sovrapponi, aspetti un pochino – questo “pochino” dipendeva dalla conversazione in corso – e poi spegni il fuoco.
Risultato finale: crosticina fuori, dentro morbidissima ma cotta al punto giusto. Assurdo, era sempre perfetta. E quando dico sempre, intendo sempre. Poteva cambiare padella, casa, regione, tipo di uova, tempo di cottura, il risultato era sempre lo stesso. Contro le leggi della scienza.
Nessuno ha mai fatto una omelette più buona. Ci ho provato tante volte, studiando le diverse metodologie già applicate, ma non era mai buona come la sua, e neanche ci si avvicinava.
Alla fine mi sembrava sempre poca, era talmente buona che non so quanta ne avrei potuta mangiare, tanta, tantissima, troppa, troppissima.
Come è possibile?
Perché le uova a meletta erano piene della follia e dell’amore di mia nonna.
Il ricordo è nitido, il risultato inconcepibile.
Tanti provano a eguagliarla, ma nessuno ci riesce.
Era il marchio di fabbrica della nonna Enza, e lo rimarrà in eterno.
Tuttavia, per coerenza e curiosità, ecco il celeberrimo Jacques Pepìn e la sua storica omelette:
Confermo, la nonna Enza era mia madre